Scalabrini Fathers
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martedì 31 gennaio 2012 15:36:00

Festa dei nostri filippini.

 

Pareva averlo fatto apposta: la celebrazione del Santo Niño, grandiosa festa del popolo filippino, cadeva quest’anno proprio nella Giornata mondiale dei Migranti, a metà gennaio. Durante lunghe serate organizzative i filippini erano apparsi al Centro Scalabrini per preparare questa giornata, diventata ormai un appuntamento religioso e culturale indispensabile, senz’altro tonificante per una comunità di emigrati provenienti dal lontano Oceano Indiano. Una novena di preghiera e di canto ne aveva preparato gli animi.

Domenica, la Cattedrale già di primo mattino si animava di una vitalità inconsueta: bandiere, striscioni, strumenti musicali, costumi di danza... Perfino padre Jake vestiva la tradizionale camicia bianca crespata di merletto, con emozione. Febbrilmente da tutta Londra si raccoglieva questa gente orientale dal tratto fine e delicato, ma dalla fede forte e radicata: erano più di un migliaio. “Le parrocchie sono state grandemente arricchite dalle comunità di emigranti per il forte senso comunitario, l’impegno familiare, l’amore alla Parola di Dio, la devozione alla Madonna e un’entusiasta partecipazione alle celebrazioni!”scandiva l’arcivescovo Peter Smith. Mentre l’altro vescovo presente, Patrick Lynch, responsabile delle comunità migranti, che aveva già vissuto questo nelle Filippine, non mancava di esclamare: “Che esperienza magnifica laggiù, che tripudio da tutte le isole!”

Le radici di questa festa religiosa provengono dalla Spagna. Magellano, sbarcando nell’isola di Cebù nell’aprile del 1521, proponeva al re di stringere un patto con la Spagna di Carlos I e di farsi battezzare insieme a tutto il suo popolo. Così fu. Il re prese il nome cristiano di Carlos e la moglie Joana, mentre come segno di alleanza fu fatto dono alla regina di una statuetta di Gesù Bambino: culto che si diffuse rapidamente in ogni isola insieme alla fede cristiana.

Così, come è tradizione, a metà messa si scatenava un rullio di tamburi e prendeva inizio la processione danzante del santo Niño, chiamata sulog dal movimento dell’acqua corrente. Due passi avanti e uno indietro, vibrando rapidissimamente in aria la statuetta tra ritmi febbricitanti, fruscii e sussurri in tagalog. Processione suggestiva, mistica, trascinante. Centinaia di filippini si  mettevano in coda, presentando sopra le mani giunte la statuetta che tengono in casa, per essere benedetta dall’arcivescovo. Era come lo spaccato dell’anima credente di un popolo amabile, ma lontanissimo per geografia, mentalità e cultura che si esprimeva nella sua maniera nativa. La fede è senso delle origini oltre che cammino verso un avvenire.

Seguiva, poi, nelle sale del vescovado un lungo tempo di lunch fraterno e l’animazione con danze dai costumi tradizionali. Tra i venticinquemila filippini presenti in terra inglese, questo pezzo di popolo di migranti provava così - nell’abituale trittico di celebrazione religiosa, pasto e danze culturali - un senso di dignità e di onore per le proprie radici. La visibilità di una comunità di immigrati in una cattedrale cattolica in contesto anglicano si rivela essenziale per costruire la comunione: occasione di dire l’universalità, la vera «cattolicità» di una Chiesa. Oltre alla riconoscenza per migranti che, nel lavorio invisibile di ogni giorno, preparano lentamente una società nuova. Quella di domani, forse più unita e più fraterna.